Sommario
- Cosa sono le terre rare?
- Perché sono fondamentali per la tecnologia moderna?
- Dazi, dazi e ancora dazi: il recente braccio di ferro USA-Cina
- La mossa di Pechino: stretta sulle esportazioni di terre rare
- Conseguenze globali per l’industria tech e l’economia
- Le contromosse dell’Occidente: nuovi fornitori, riciclo e innovazione
- 📚 Fonti
Smartphone, auto elettriche e turbine eoliche hanno in comune un ingrediente nascosto: un gruppo di 17 metalli noti come terre rare. Questi elementi, spesso definiti “le vitamine della società moderna”, sono cruciali per un’ampia gamma di tecnologie avanzate. Non c’è da stupirsi che alimentino un mercato globale da quasi 11 miliardi di dollari, destinato a raddoppiare entro il 2031 (fino a circa 21,7 miliardi) dato l’aumento della domanda. Oggi però le terre rare sono anche al centro di un braccio di ferro geopolitico: i recenti dazi imposti dagli Stati Uniti contro la Cina hanno innescato la ritorsione di Pechino, che ha deciso di limitare le esportazioni di questi minerali strategici. La mossa rischia di creare shock nelle filiere tecnologiche globali e sta spingendo l’Occidente a correre ai ripari.

Cosa sono le terre rare?
Le terre rare (in inglese rare earth elements, REE) sono un gruppo di 17 elementi chimici metallici: includono i 15 lantanidi della tavola periodica, più scandio e ittrio. Nonostante il nome, non sono rarissime in termini di presenza nella crosta terrestre; la definizione storica deriva dal fatto che inizialmente furono trovate in minerali poco comuni e sono difficili da estrarre in forma pura. Questi elementi si distinguono in due sottogruppi: terre rare leggere (ad esempio cerio, lantanio, neodimio, praseodimio, samario) e terre rare pesanti (come disprosio, europio, gadolinio, terbio, itterbio, ittrio, ecc.). Alcuni, come neodimio, praseodimio e disprosio, sono considerati particolarmente critici per la loro importanza e la relativa scarsità.

Pur non essendo preziosi come l’oro, il valore di questi elementi risiede nelle loro proprietà uniche: ad esempio, possono conferire ai magneti una potenza eccezionale o agli schermi luminosità e colori vividi. Le terre rare fanno parte del più ampio gruppo delle cosiddette materie prime critiche, ovvero risorse fondamentali per industria ed economia ma soggette a rischio di forniture instabili. In sostanza, senza terre rare molti dispositivi moderni semplicemente non esisterebbero nelle forme e prestazioni a cui siamo abituati.
Perché sono fondamentali per la tecnologia moderna?
Le terre rare trovano impiego in innumerevoli applicazioni high-tech. La loro presenza è indispensabile per la transizione verde, per l’industria militare e per l’innovazione tecnologica in generale. In particolare, sono alla base di componenti che permettono il funzionamento di dispositivi di uso quotidiano e di infrastrutture strategiche. Ad esempio, le terre rare sono fondamentali per creare magneti permanenti super potenti, realizzare fibre ottiche e produrre leghe speciali per batterie e componenti elettronici avanzati. Di seguito alcuni settori chiave che dipendono da questi elementi:
- Elettronica di consumo: nei nostri smartphone, computer, televisori e altri dispositivi, le terre rare vengono utilizzate per i display a colori (fosfori a base di europio e terbio danno luminosità agli schermi) e per gli altoparlanti e auricolari (i magneti al neodimio permettono suoni potenti in poco spazio).
- Energie rinnovabili: le pale delle turbine eoliche e i generatori di impianti eolici contengono magneti al neodimio e disprosio; anche nei pannelli solari alcuni elementi delle terre rare vengono impiegati per migliorare l’efficienza nella conversione energetica.
- Auto elettriche e veicoli ibridi: i motori elettrici utilizzano magneti permanenti basati su terre rare (neodimio, disprosio) per ottenere alte prestazioni in dimensioni ridotte. Inoltre, le vecchie batterie ricaricabili dei veicoli ibridi (nichel-metallo idruro) contenevano lantanio; oggi le batterie al litio non ne usano, ma le auto elettriche continuano a dipendere dalle terre rare nei motori e nei sistemi elettronici di controllo.
- Difesa e aerospazio: i sistemi d’arma avanzati sfruttano le terre rare in laser, sensori, radar e sonar. Ad esempio, i radar militari impiegano componenti al lantanio e neodimio, e molte leghe aerospaziali per jet da combattimento o satelliti richiedono terre rare per resistere a temperature estreme.
- Apparecchiature mediche: tecnologie come le risonanze magnetiche (MRI) e i macchinari per la diagnostica o la chirurgia robotica utilizzano magneti e componenti con terre rare, garantendo campi magnetici intensi e stabilità nelle prestazioni.

In breve, dalle auto elettriche ai telefoni, dalle reti di energia rinnovabile ai sistemi d’arma, i metalli delle terre rare sono diventati ingredienti essenziali. Per questo sono considerati cruciali per le grandi transizioni economiche in atto – quella ecologica, energetica e digitale – e la domanda mondiale è in forte crescita.
Dazi, dazi e ancora dazi: il recente braccio di ferro USA-Cina
Negli ultimi anni le terre rare sono passate da argomento per addetti ai lavori a questione geostrategica di primo piano. Gli Stati Uniti da tempo accusano la Cina di pratiche commerciali sleali e di sfruttare la propria posizione dominante nelle filiere tecnologiche. Sul fronte opposto, Pechino mal digerisce le restrizioni americane sull’export tecnologico (come i divieti di vendita di chip avanzati) e rivendica il proprio diritto allo sviluppo industriale. Questo clima di tensione commerciale è sfociato in una serie di dazi incrociati tra le due superpotenze.

All’inizio del 2025 la situazione è precipitata: Washington ha annunciato un forte aumento dei dazi su praticamente tutte le importazioni cinesi, portandoli fino a circa il 54%. Si è trattato di un inasprimento voluto dall’amministrazione di Donald Trump, che ha giustificato la mossa accusando Cina e altri paesi di aver approfittato per anni di pratiche commerciali scorrette a svantaggio degli USA. Pechino ha denunciato questa decisione come “bullismo economico” e unilateralismo, sostenendo che metta a rischio la stabilità globale delle catene del valore. In altre parole, il terreno era pronto per un’escalation: da una parte gli Stati Uniti alzano la pressione tariffaria, dall’altra la Cina cerca un punto di leva per rispondere in modo altrettanto doloroso.
La mossa di Pechino: stretta sulle esportazioni di terre rare
La risposta della Cina non si è fatta attendere. Pochi giorni dopo l’annuncio dei dazi americani, Pechino ha limitato drasticamente l’export di terre rare, sfoderando un’arma commerciale dove sa di avere un enorme vantaggio. In concreto, dal 4 aprile 2025 il governo cinese ha imposto restrizioni alle esportazioni di alcuni elementi chiave: sei metalli appartenenti alle terre rare pesanti e i magneti che li contengono (componenti ad altissimo valore tecnologico) rientrano ora in una lista di materiali il cui invio all’estero è vincolato da licenze speciali. Nell’immediato, la misura ha provocato uno stop delle spedizioni: tonnellate di questi materiali sono rimaste bloccate nei porti cinesi in attesa che vengano emesse le nuove licenze di esportazione. Secondo fonti di stampa, il meccanismo autorizzativo non è ancora operativo e questo potrebbe tradursi in ritardi di settimane o mesi, se non addirittura in divieti permanenti di fornitura per determinati clienti occidentali (tra cui importanti appaltatori militari statunitensi).
Si tratta evidentemente di una ritorsione mirata. Pechino ha esplicitamente collegato la stretta all’aumento dei dazi USA, segnalando che intende usare il suo controllo sulle terre rare come leva negoziale. Vale la pena notare che il blocco riguarda tutti i Paesi, non solo gli Stati Uniti: date le regole cinesi, anche aziende in Europa o Giappone che si riforniscono di questi materiali dalla Cina ne risultano colpite. Questo rende la mossa particolarmente incisiva, creando potenziali alleati involontari di Pechino (gli altri importatori danneggiati dai dazi USA) o quanto meno mettendo pressione indiretta agli americani tramite i loro partner internazionali.

Perché proprio le terre rare pesanti? La Cina sa di avere qui un asso nella manica: produce il 99% delle terre rare pesanti a livello mondiale e circa il 90% dei magneti ad “alta potenza” che le contengono. Sono materiali per cui le alternative fuori dalla Cina scarseggiano. Due elementi molto diffusi come neodimio e praseodimio (terre rare “leggere”) non sono stati inclusi nel bando, probabilmente perché esistono maggiori forniture alternative all’estero. Invece elementi come disprosio, terbio o ittrio – cruciali per settori dall’elettronica alla difesa – sono quasi monopolio cinese. Non è la prima volta che Pechino lascia intendere di poter “armare” la sua supremazia in questo campo: già nel 2019, durante un altro picco di tensioni commerciali, il presidente Xi Jinping visitò pubblicamente una fabbrica di magneti a terre rare (la JL Mag di Ganzhou) in segno di avvertimento simbolico agli USA. Ora quella minaccia è diventata realtà.
Conseguenze globali per l’industria tech e l’economia
La decisione cinese di imbrigliare le terre rare ha immediate ripercussioni globali. I settori tecnologici più avanzati – dall’automobilistico all’aerospaziale, dall’elettronica di consumo alla difesa – rischiano di subire strozzature nella catena di fornitura. I magneti e materiali colpiti dalla stretta sono essenziali per fabbricare auto, droni, robot e persino missili; bloccarli significa minacciare direttamente le produzioni di case automobilistiche, industrie aerospaziali, aziende belliche e perfino dei semiconduttori. In pratica, molte linee produttive potrebbero rallentare o fermarsi se le scorte si esauriscono senza trovare forniture alternative. Alcuni analisti segnalano che alcuni clienti fuori dalla Cina potrebbero ritrovarsi presto a corto di materiali e dover tagliare la produzione.

Le implicazioni economiche sono significative. Una carenza di terre rare potrebbe far lievitare i costi di componenti chiave (dai magneti per motori elettrici ai catalizzatori industriali) con effetti a cascata sui prezzi di prodotti finali come smartphone e auto elettriche. I paesi importatori, in primis gli Stati Uniti, vedono aggravarsi la loro dipendenza strategica: ad oggi gli USA dispongono di una sola miniera operativa di terre rare sul proprio territorio e possiedono riserve strategiche modeste, insufficienti a soddisfare a lungo termine le esigenze dell’industria nazionale. L’Europa, dal canto suo, importa la quasi totalità delle terre rare che consuma e si trova altrettanto esposta a shock di approvvigionamento. Questa situazione sta mettendo in allarme governi e imprese in tutto il mondo e potrebbe persino rallentare gli obiettivi di transizione ecologica: senza un flusso sicuro di terre rare, la produzione di turbine eoliche, auto elettriche e sistemi di accumulo energetico verde potrebbe subire ritardi.
C’è anche un impatto geopolitico più ampio. La mossa cinese evidenzia la fragilità delle catene globali quando una risorsa critica è concentrata in mano a un solo attore. Potrebbe spingere alcuni paesi a riconsiderare le proprie alleanze commerciali e a cercare cooperazione tra loro per non restare schiacciati nel duello USA-Cina. Pechino, proponendosi come paladina del libero commercio nelle sue dichiarazioni ufficiali, cerca di guadagnare consenso internazionale contro i dazi americani. Dall’altro lato, Washington potrebbe intensificare gli sforzi diplomatici per creare un fronte comune di nazioni pronte a sostenersi a vicenda in caso di carenze (ad esempio condividendo stock strategici o coordinando risposte). In sintesi, la guerra delle terre rare potrebbe ridisegnare alcune dinamiche di potere economico: chi controlla questi elementi detiene un potere contrattuale enorme sull’industria globale.
Le contromosse dell’Occidente: nuovi fornitori, riciclo e innovazione
Di fronte a questo scenario, gli Stati Uniti e gli altri paesi occidentali stanno studiando contromosse per ridurre la dipendenza dalla Cina sulle terre rare. Diversificare le fonti di approvvigionamento è la priorità: negli ultimi anni USA ed Europa hanno avviato investimenti in progetti minerari e di raffinazione interni, e stretto partnership con paesi ricchi di terre rare come Australia, Brasile, Vietnam e altri. Ad esempio, l’Australia (seconda solo alla Cina per riserve) è emersa come fornitore alternativo: la società australiana Lynas sta espandendo la produzione e costruendo impianti di raffinazione fuori dall’Asia. Negli Stati Uniti si punta a riavviare e potenziare la filiera nazionale: esiste una miniera attiva in California (Mountain Pass), ma finora il materiale estratto veniva spedito in Cina per essere raffinato. Ora, grazie anche a fondi governativi, stanno nascendo impianti di lavorazione e produzione in loco: una società ha avviato la costruzione di una fabbrica di magneti in Oklahoma per servire l’industria americana. In Texas è in progetto un impianto di separazione dei metalli delle terre rare con il supporto del Pentagono (in collaborazione con Lynas).

Un altro fronte chiave è il riciclo. Molte terre rare sono contenute in rifiuti elettronici (vecchi smartphone, hard disk, motori elettrici dismessi): recuperarli può diventare una fonte significativa. Startup come Phoenix Tailings negli USA stanno sviluppando tecnologie per estrarre terre rare dalle scorie e dai dispositivi a fine vita, con l’obiettivo di produrne fino a 4.000 tonnellate annue entro il 2027 attraverso il riciclo, rispetto alle poche decine di tonnellate ricavate oggi. Anche in Europa e Giappone si investe nel recupero dei magneti dai rifiuti e nell’economia circolare dei metalli critici, così da alleviare la pressione sulla necessità di nuove miniere.
Infine, si considera la riduzione dell’uso o la ricerca di materiali sostitutivi. I settori industriali stanno studiando design alternativi: ad esempio motori elettrici senza magneti o con magneti fatti di materiali più comuni, anche se ad oggi nessuna soluzione offre le stesse prestazioni delle terre rare. Allo stesso tempo, governi e aziende accumulano scorte di sicurezza per tamponare eventuali interruzioni e valutano politiche industriali coordinate (in UE è stata proposta una Critical Raw Materials Act proprio per garantire un approvvigionamento stabile di materiali critici in settori strategici). Insomma, l’Occidente corre ai ripari su più fronti: nuove miniere, nuovi fornitori, riciclo e innovazione tecnologica per affrancarsi, almeno in parte, dal monopolio cinese.
📚 Fonti
- Reuters – China rare earths export controls leave global tech firms scrambling
- Bloomberg – US Defense, Tech Firms Face Delays After China’s Rare Earth Export Halt
- Financial Times – China retaliates to US tariffs with curbs on rare earth exports
- U.S. Geological Survey – Rare Earths Statistics and Information
- International Energy Agency – The Role of Critical Minerals in Clean Energy Transitions
- Brookings Institution – Strategic resources in the 21st century: The rare earths dilemma
- Statista – Rare Earth Elements – Market size worldwide 2023–2031
- The Diplomat – China’s Rare Earth Strategy: Economic Weapon or Necessary Protectionism?
- World Economic Forum – Global supply chains and critical raw materials: resilience under pressure
- MIT Technology Review – Can recycling rare earths reduce dependency on China?
- CNN Business – China’s rare earth monopoly: how much is too much?
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